martedì 31 maggio 2016

Zuò

I caratteri cinesi più divertenti, perlomeno quelli che a me intrigano di più, sono i pittogrammi, quelli cioè che si traducono in una vera e propria stilizzazione di una figura, in cui, chi li ha immaginati e tracciati per la prima volta, ha cercato di racchiudere tutto quanto possa far capire immediatamente all'osservatore, quanto si vuole dire, sforzandosi di mostrare nel segno un'idea, un significato preciso, attività davvero avanzata nel progresso mentale dell'umanità. E' il caso di quello che vi presento oggi:  (zuò), che mostra il ben conosciuto carattere di Uomo, Persona  (rén), ripetuto due volte e  (tǔ)  che rappresenta il Suolo, la Terra, disegnato come una linea orizzontale sulla quale sono appoggiate o da cui crescono tutte le cose. In questo caso possiamo immaginarle come dei sedili, dei punti di appoggio su cui stanno appunto seduti i nostri due omini schiena contra schiena o fianco a fianco. Il carattere infatti è proprio il verbo Sedersi, star seduto e per esteso come di consueto in questa lingua in cui aggettivi, sostantivi, verbi o congiunzioni non sono concettualmente separati, Sedere, talvolta inteso anche come parte del corpo. Il carattere è molto usato in combinazione con altri per formare molte parole anche moderne. Ad esempio lo si può unire a 药 (yào), Farmaco, che come nella nostra etimologia di origine greca significa anche Veleno,  a testimonianza di come tanti concetti filosofici siano comuni anche in culture apparentemente lontanissime. 

In questo caso, il significato salta all'occhio, 坐药 (zuò yào), Farmaco da sedere, quindi Supposta. Non ridete, può essere molto utile se siete soli in Cina e avete problemi opposti alla solita maledizione del viaggiatore e avete dimenticato le supposte di glicerina in Italia. Io ad Hong Kong ho dovuto usare la mia arte di mimo, di fronte ad un farmacista e diversi clienti meravigliati ma già intimamente convinti che i Gua Lò sono gente strana e non è stato facile, anche per la mia dignità. Andando oltre, è altrettanto interessante la parola 坐探 (zuò tàn), che si ottiene aggiungendo il carattere che significa Esplorare, Cercare di scoprire, quindi chi è che standosene comodamente seduto tra la gente e facendo finta di nulla cerca di scoprire qualche cosa? La Spia nemica. Eccolo lì, beccato al bar o in un ufficio, tranquillamente seduto a far finta di bere un thé o a lavorare, mentre invece tende l'orecchio per scoprire i vostri segreti. Ancora, unito a 垫 (diàn), Imbottire, Cosa riempita, Mettere una cosa sotto un'altra dà 坐垫 (zuò diàn), Cosa imbottita messa sotto il sedere, dunque Cuscino. E per finire un chengyu molto carino: 如坐针毡 (rú zuò zhēn zhān), lett. Come-Sedere-Ago-Feltro. Stare seduti su un morbido feltro come se fosse coperto di aghi, cioè: Stare sulle spine.


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De

lunedì 30 maggio 2016

Deglet-ennour

Oasi di Ourgla - Algeria - gennaio 1978
Deglet-ennour, dito di luce: è il nome della varietà di datteri più pregiata. E' un dono del deserto, certo, ma come sempre la natura c'entra poco. E' l'intuito e l'ingegnosità umana che ha saputo attraverso millenni di lavoro, selezione ed intuizione, creare, migliorando una specie selvatica, questa pianta. Certo quando tra la sabbia apparentemente morta, trovi la palma carica di questi frutti deliziosi, pare davvero di essere nell'oasi delle barzellette, i quattro alberi tra le dune che non sono un miraggio, ma un punto di sosta privilegiato tra i mille colori del deserto. Stavano lì, solitari, vicino a un piccolo pozzo circondato da capre all'abbeverata nel vicino vascone malconcio; poco più lontana in un avvallamento, una tenda beduina, sotto la quale indovinavi un pastore assonnato, una donna dai capelli nerissimi e ornata di collana pesanti, fatte di monete d'argento che scaldava il pentolino del thè e qualche bambino che ruzzava nella sabbia. Adesso sembra impossibile ma in quel tempo traversare questo tratto di Sahara per Tamarasset, non muoveva alcun senso di paura. 

Due ragazzi ci si potevano avventurare senza problemi con una A112 a noleggio, bastava calcolare l'acqua e la benzina necessaria in sovrabbondanza. Dovevi solo decidere se seguire la strada verso sud o fare la traversata verso ovest per raggiungere Timimoun, la regina rossa delle sabbie sulla Bidon Cinq. Il deserto come simbolo di libertà assoluta, spazio infinito in cui perdersi o in cui ritrovarsi, mondo senza confini in cui dare un senso a quel desiderio interno insopprimibile che ti aveva spinto a partire, lasciando a casa la voglia del ritorno. I colori della sabbia riempivano i tuoi occhi di domande senza risposta. Fare pochi passi oltre la duna fino a che la strada era scomparsa ti portava in una saga fantasy di un pianeta lontano. Quattro palme cariche di frutti ad attenderti come per un appuntamento lungamente preparato ed atteso. Dita di luce, marroni, enormi, pastosi e dolcissimi per rallegrare il viaggio, per dargli un senso, per aiutarti a capire la vita.


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domenica 29 maggio 2016

Dī tóu zú

L'anziano si sa ha la memoria difettosa. Dunque da qualche giorno mi rifrullava in testa una cosa che avevo letto da qualche parte sul web e non riuscivo più a rintracciare; e poi si sa sul web c'è di tutto. Poi grazie alla gentile e molto competente in materia, Maria Fornabaio, dell'interessantissimo sito LTL Mandarin School che vi consiglio di consultare se siete interessati a questi argomenti, sono stato reilluminato e quindi passo immediatamente a parlarvi di questo interessante neologismo. Già perché anche i cinesi coniano neologismi, come è ovvio con i grandi cambiamenti dovuti alla vita moderna e lo fanno adattando i concetti dei loro antichi ideogrammi al senso di oggi, quindi utilizzando sensi antichi per illustrare, spesso in modo spiritoso, cose ed abitudini che in quei tempi neanche si potevano pensare. Da noi bisogna deformare o inventare parole nuove, pur mantenendone un etimo logico, loro invece devono giocare coi caratteri che già hanno un senso compiuto, invece che con le lettere. 

Dunque ecco qua tre comuni parole: la prima è 低 ( dī ) che significa Abbassare, Chinarsi ma anche Basso, poco elevato, da cui anche 低能 ( dī néng ) - Deficienza mentale oppure il bel Cheng yu (le frasi idiomatiche di 4 caratteri): 低三下四 (dī sān xià sì) -  lett. Mettere il 3 sotto al 4 che vuol dire Umiliarsi di fronte a qualcuno. La seconda 头 (tóu), vuol dire Testa, Capo da cui il divertente 头油 (tóu yóu),  Olio per la testa, cioè la Brillantina oppure l'incomprensibile 头发蒙(tóu fà mēng), lett. Testa-Trasformarsi (che già assieme possono voler dire Capelli) - Ingannare, che però significa Cadere a terra privo di sensi (boh? chiederò a Maria, poi vi dico). La terza 族 (zú) significa Razza, Tribù, Gruppo. Messe le tre parole assieme abbiamo dunque: Chinata- Testa- Tribù, cioè quel gruppo di persone che se ne va in giro con la testa chinata, isolati dagli altri e che sembrano vivere in un loro mondo perduto. Bene, oggi questo neologismo viene utilizzato per definire, condensandolo in un ironico modo di dire Tutti coloro che anche nelle situazioni meno opportune, tengono lo sguardo immerso su cellulari, tablet o cose del genere e che ormai costituiscono una vera e propria tribù sempre più numerosa e il secondo tono ascendente con cui si pronunciano i due ideogrammi finali sembrano davvero dire, ma alzate un po' quella testa e rientrate nel mondo civile!

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sabato 28 maggio 2016

Le città perdute: Marib delle sabbie


Marib - Yemen - agosto 1977
Una città morta fatta di terra che non si stava sbriciolando sotto il peso dei secoli a cui aveva resistito impavida come poteva sembrare ad un primo sguardo poco attento. Solo le cannonate dei Sauditi, in una delle tante guerre sconosciute, l'avevano spopolata, ferita, graffiata anni prima, in quella lotta senza fine tra sunniti e sciiti che prosegue da sempre, virulenta anche oggi. E pensare che se mai piovesse da quelle parti, la città di terra cruda si scioglierebbe in circa 24 ore, così almeno si è calcolato, ma non è mai successo laggiù in quell'aria tersa e senza umidità, secca tanto da bruciarti la gola. Dormire per terra, in una di queste case abbandonate all'ultimo piano per poter trovare, sul terrazzo del tetto, sollievo al calore che brucia e che non dava tregua neppure durante la notte ricoperta di stelle, le stelle magiche del deserto che ricoprono il velluto nero del cielo, fino a quando non compare la luna a disegnare le ombre lunghe delle sagome delle case sbocconcellate dalle bombe e aspettare l'alba. Una città morta è magica soprattutto la notte quando puoi far lavorare meglio la fantasia, a fabbricare storie e racconti. 

Di giorno è solo un insieme di quinte deserte anche se scenografiche. Allora ti rimane il deserto che la circonda, il margine estremo del Rub-al Khali dalle cui dune può arrivare il nemico, nascosto tra le sabbie. Sabbie dove, semisepolte, ancora emergono le tracce millenarie del regno di Saba, residui immarcescibili di quell'Arabia Felix che un impero millenario al di là del Mediterraneo riteneva dispensatore di ogni profumo, ricchezza, spezia e fragranza. Forse certamente sopravvalutato, grazie all'astuzia dei suoi abitanti che nascondevano quella che era soltanto una attività commerciale con il ben più lontano Oriente. Quelle otto colonne squadrate rimaste ritte verso l'alto per millenni, raccontano di un orgoglio invincibile, in lotta perenne per non essere inghiottite dalle sabbie, ancora una volta la natura contro l'uomo e la sua voglia di vincere il territorio, affermare la propria superiorità di specie dominante. Poco lontano, l'immenso muraglione della diga che 3000 anni fa rendeva questa valle irrigua e fertile come lo è tutto il deserto quando è baciato dall'acqua, mostra cosa si poteva fare anche con pala e carriola. Che fantastico privilegio ho avuto di poterci arrivare in una delle poche pause tra gli interminabili conflitti che da sempre devastano lo Yemen, una delle terre più magiche diquesto pianeta.

Marib -Il tempio -Yemen - agosto 1977

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venerdì 27 maggio 2016

Shì, Yǒu



Il mondo moderno si dibatte nella domanda esistenziale forse più dura di tutti i tempi: Essere o Avere? Certo che è un bel problema, non solo proprio del mondo occidentale. Anche i cinesi forse si pongono questo dilemma che probabilmente è alla base del pensiero umano fin dall'antichità. Laggiù lo possiamo forse notare anche, come sempre, nella lingua. Intanto questi verbi sono ovviamente usatissimi e con significato allargato anche al di là della mera espressione verbale ausiliaria e la loro scrittura può darci una indicazione in questo senso. Essere-  (shì), è composto da due caratteri sovrapposti, sopra abbiamo  (rì) - Sole e sotto  (zhèng) - Esatto, corretto. In sostanza quando il sole è nella posizione allo zenit, simbolo di perfezione. Infatti il verbo essere oltre che come ausiliare viene usato anche per il concetto di Sì,sì , Esatto, Va bene, Giusto. Anche il verbo Avere  (yǒu), è costituito di due parti, quella superiore che è una semplificazione di Mano  (shǒu) e sotto quello,  (yuè) che significa Luna. Insomma Avere, Possedere è come avere in mano la luna. Per la verità sembra che nel carattere originale antico, il pittogramma di Luna fosse più prosaicamente sostituito da quello di  (ròu) - Carne. 

Di certo il contadino tipo non mangiava carne tutti i giorni e tenere in mano un bel pezzo di carne, dava una bella idea di possesso, insomma. Tanto per allungare un po' il brodo e finire il post, vi aggiungo una interessante espressione classica, che non so quanto sia ancora usata dai giovani: Ta shì ge èr bǎi wǔ,  他是个二百五 - Lui- Essere - un 250. Direi impossibile da capire se non si conosce una storica leggenda. Si racconta infatti che durante il regno di un famoso imperatore di 2000 anni fa, venne assassinato uno dei suoi più importanti collaboratori e non si trovavano i colpevoli. L'astuto regnante fece allora girare la voce che lui era assai contento di essersi levato di torno quell'incapace, anzi per festeggiare, promise un premio di 1000 liǎng (两)  d'oro, pari a 50 kg del prezioso metallo, a coloro che avevano compiuto l'uccisione. Si presentarono subito i quattro assassini che dimostrarono inoppugnabilmente di essere i responsabili e a cui vennero consegnati i 250 liǎng a testa. Non fecero a tempo a gioire dell'insperata fortuna che furono subito imprigionati e torturati pubblicamente fino a che non sopraggiunse la morte. Insomma furono così avidamente sciocchi da denunciarsi da soli portando essi stessi le prove della loro colpevolezza. Da allora dire di qualcuno che è un 250 significa catalogarlo come: È proprio un idiota!


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mercoledì 25 maggio 2016

Stage di Tai Ji



Solo due parole per raccontarvi la davvero interessante esperienza di domenica scorsa a Novi Ligure, che ho avuto nello stage con il maestro Xia Chao Zhen. Sono ancora qui che ne assaporo gli aspetti diversi e le tante sfumature nuove che questo grande maestro ci ha mostrato durante quasi quattro ore di intensa pratica. Devo dire che il Tai Ji, assieme alla complementare pratica del Qi Gong, ha tali e tanti punti di approfondimento e di discussione che di fronte alla presenza di personaggi di questo calibro, se ne possono apprezzare sempre di nuove e di più profonde. Il cuore del significato di questo seminario, è stato proprio quell'andare oltre a quello che nell'atteggiamento dello spettatore esterno o dell'approccio del principiante è rappresentato dall'aspetto della semplice ginnastica, sia pure sotto una forma piacevole ed elegante. Insomma la preponderanza dell'intenzione nel movimento del corpo, l'importanza della postura e il prevalere dell'atteggiamento con cui ci si deve avvicinare alla pratica e non viceversa. 

Da qui deriva tutto il resto, dalla buona esecuzione delle forme ai benefici fisici e psicologici di questa arte. Certo osservare questo grande maestro, che pratica dall'età di 7 anni, anche il Ba Gua e il Tui Na oltre ai vari stili del Tai Ji di cui ha una approfondita conoscenza, produce da un lato una ammirazione stupita da parte dello spettatore e allo stesso tempo quasi una sorta di depressione da parte di chi ritiene di avere già superato la fase del principiante, quando appare così evidente quanto sia grande il cammino ancora da percorrere. Tuttavia la sua simpatia travolgente e la dimostrazione pratica di come sia produttivo affrontare gli esercizi con un atteggiamento positivo e accompagnato dalla gioia e dal sorriso, ti convince immediatamente, le ore passano in fretta e al termine rimane viva solo la voglia di ripetere al più presto l'esperienza. Un grazie di cuore al maestro Xia Chao Zhen e naturalmente a Roberta Borello e Paola Ruzzon che hanno organizzato l'incontro.


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lunedì 23 maggio 2016

Al Birrificio San Michele

La Sacra di San Michele

Sabato mi sono fatto una bella scampagnata nel torinese, sotto la Sacra di San Michele che incombe dall'alto come un memento mori medioevale, su tutta la valle No Tav per eccellenza. Motivo di fondo la visita ad una interessante realtà locale: il Birrificio Artigianale San Michele. Grazie all'organizzazione del Museo di Agricoltura del Piemonte con cui, tra un paio di settimane partirò per una visita assolutamente culturale nella bassa Toscana, chè non di solo pane vive l'uomo e anche lo spirito va coltivato. Quella di oggi era invece una visita tecnica, anche per prendere un po' le misure a questo fenomeno in grande crescita dei birrifici artigianali che nel nostro paese si sono messi con intelligenza a cavalcare un'onda di marketing molto interessante e che sembra pagare dal punto di vista della riuscita economica.  Naturalmente qui nasce tutto un discorso in cui chi mi legge sa già come la penso su questa tendenza gastrofighettara di andare a ricercare particolari nicchie che interessano appunto gli appassionati disposti a spendere molto per trovare quel percento in più di qualità particolari che fondano il loro interesse soprattutto sugli aspetti della rarità o del rimpianto del passato che non torna più. Ma per carità, se tutto funziona e produce business, lavoro e PIL, ben venga e si dia spazio alle idee. 

Qui, intanto abbiamo il fascino della collocazione in un antico edificio industriale del 1860 riadattato e ben rimesso in ordine ed immerso in un paesaggio molto attraente con la montagna dietro, sulla cima della quale, la sagoma della Sacra si pone con tutta la sua maestosità, ricordandoci anche il mistero che circonda questi luoghi, dal monte Musiné teatro di antiche leggende e moderni avvistamenti di navi spaziali, molto attenzionato, direbbero i Carabinieri, dagli Ufologi italiani. Poi. la visita organizzata allo stabilimento permette anche ai profani, la piena comprensione dei meccanismi tecnologici della produzione di quella che, probabilmente è la più antica bevanda del mondo. La fermentazione dei cereali per produrre una sorta di beverone dissetante ancorché moderatamente alcoolico, risale nientemeno che alla mezzaluna fertile con la nascita dell'agricoltura, dai Sumeri fino a passare all'antico Egitto dove, assente la moneta, sembra che la birra facesse parte del pacchetto di pagamenti con cui veniva compensato il lavoro dei costruttori delle piramidi. 

Il birrificio
Qui a San Michele si è scelto di privilegiare, proprio come è richiesto da questa nicchia di nuovo mercato, una linea cosiddetta artigianale che si estrinseca in una produzione di piccolissime quantità di birre particolari, qui se ne fanno addirittura 13 varietà diverse, che non essendo pastorizzate, conservano una serie di sfumature di profumi e di gusti tali da incuriosire gli amatori. La produzione globale annua è intorno ai 500 ettolitri, ma in continua crescita, anche perché le richieste specialmente dall'estero aumentano notevolmente, tanta è la ricerca di questi prodotti particolarissimi. Naturalmente i prezzi sono in linea con i costi che una produzione di questo tipo richiede e subito sono interessanti da valutare le differenze rilevabili con la visita fatta lo scorso anno con il Museo al birrificio tedesco Ayinger che, pur essendo di piccolissime dimensioni per i metri teutonici, di birra ne produce circa 150.000 ettolitri per anno, tanto per dirne una. Comunque qui a San MIchele ovviamente il prodotto è un altro e altre sono le cose che gli amatori ricercano. Quindi è stato un piacere poter assaggiare almeno alcune delle diverse varietà a disposizione che hanno tutte il nome di diverse opere liriche, idea molto apprezzata all'estero. 

Non per altro al birrificio è accoppiato, come ci insegnano i tedeschi, una locanda/birreria, piuttosto frequentata, dove avrete la possibilità di gustare le diverse birre accoppiate a piatti idonei. Una soluzione finale molto apprezzabile che con prezzi abbordabilissimi, attorno ai 12/14 euro a piatto, vi consentirà di avere, stinchi tenerissimi, succulenti cosciotti di maiale, spezzatini delicati e altre piacevolezze del genere, per finire coi dolci della casa: il Birramisù, la Birracotta (squisita che ho provato io) e la Birra catalana. Tra le birre provate ho trovato particolarmente gradevoli la Tosca, una pilsner classica leggera e dissetante, gradevolmente amara e dai sentori d'erbe alpine e la Traviata, una bionda al miele decisamente più corposa dalle note gradevolmente dolci davvero indicata per le carni di maiale. Se vorrete risalire la Val Di Susa per andare a qualche dimostrazione di No Tav, da qualunque parte stiate, io, una sosta premiata qui, ce la farei verso mezzogiorno, tanto per avere un'idea, tra l'altro se mangiate lì, la visita di 45 minuti circa, che si svolge sia al sabato che alla domenica, è gratuita.


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venerdì 20 maggio 2016

La discarica

Katmandu - Nepal - gennaio 1976
Kavita aveva la schiena curva ed il volto segnato dalla vita, che la facevano sembrare molto più vecchia di quanto probabilmente non fosse. Scavava come suo solito ogni giorno, in un grande immondezzaio alla periferia estrema di Katmandu, sulla strada per arrivare al santuario di Bodhanat, in cerca di qualche cosa di utile, da usare, da consumare, da vendere, valutando come ricchezza quello che per altri era stato inutile scarto. Era un po' il suo lavoro di tutti i giorni, per lei e per i suoi figli, che correvano attorno alla capanna di cartoni e stracci di plastica svolazzante tenuta assieme da funi, perché il vento forte che scendeva dalle montagne non la portasse via, in attesa del lavacro purificatore del monsone estivo. Anche quei ragazzini che sembravano giocare, in realtà buttavano l'occhi in giro con molta attenzione, per trovare nella nuova quantità di materiale che i camion scassati avevano scaricato nella giornata precedente, nuova miniera da esplorare, non ci fosse mai qualcosa di buono. Nessuna traccia di uomo. Chissà se un marito ci fosse da qualche parte, magari in cerca di qualche opportunità di lavoro, in città, al mercato a scaricare derrate o ad offrirsi per qualche servizio ancora più umile. A gennaio faceva un certo frescolino specialmente durante la notte e non so fino a che punto gli stracci bisunti con cui aveva coperto il sari nero, liso e dal bordo sdrucito, la potessero proteggere. 

Quasi tutti i bambini, infatti, tossivano e avevano vistose candele pendenti dal naso. Una scena piuttosto consueta da quelle parti e che oggi, dopo più di 40 anni, non dovrebbe essere cambiata molto, complici buon governo, terremoti e disgrazie varie che, come una dannata combinazione capitano sempre negli stessi posti, quelli già di per sé, più disgraziati del pianeta. Mai sentito parlare di uno tsunami a Montecarlo. Da quelle parti se la raccontano con la storia del karma, così non è colpa di nessuno, solo tua e del tuo pessimo passato in effetti e si può avere così un migliore controllo della pace sociale, per quanto è possibile naturalmente, ogni tanto anche lì si perde la pazienza. Erano le prime volte che mi misuravo con queste situazioni che impongono comunque di fermarsi a riflettere, a fare considerazioni, molto spesso anche sbagliate, anche se poi pensare serve sempre. Anche a questo dovrebbe servire il viaggio. A raccogliere, far sedimentare e maturare idee, cercando di non farle diventare giudizi. Questi erano i miei primi viaggi davvero fuori porta, in cui cercavo soprattutto la diversità. Qui il germe è diventato droga costante di cui, poi, non ho potuto più fare a meno, pena dure crisi di astinenza. Queste poi, erano le prime diapo che scattavo, una vera rivoluzione tecnica che mi avrebbe fatto abbandonare le sere chiuso in uno stanzino buio, alle prese con le bacinelle degli acidi a spiare l'immagine in bianco e nero che si formava lenta sulla carta coperta dal liquido trasparente. Chi poteva immaginare allora la rivoluzione digitale, mentre si scattava con parsimonia, considerando le 300 lire che costava ogni clik. 

Più o meno le stesse che avrebbero consentito a Kavita di mangiare con la sua famiglia quel giorno. Un clik o quattro o cinque scodelle piene di riso e masala di chilli davanti a facce che ridono di soddisfazione, come è strano il mondo. Chissà se Kavita è viva, una vecchietta dalla faccia incartapecorita dalle rughe, accovacciata sui talloni davanti alla solita baracca, quasi ogni anno nuova, la vecchia cancellata dal monsone, ma sempre uguale, con qualche nipotino che corre nelle stesse immondizie, tra gli stessi fumi, tra la medesima puzza, oppure se è già morta di qualche malattia banale, rattrappita in fondo alla baracca, sperando fino all'ultimo in una rinascita migliore, come si sarà meritata. E di quei bambini, una parte dei quali di certo non c'è più, che sarà stato?Qualcuno ce l'avrà fatta ad uscire di là, a trovare una forma di schiavitù anche solo un poco più dignitosa, che abbia permesso una baracca in mattoni, pronta però a crollare sotto il prossimo terremoto, con figli che sono andati a scuola oppure lo spostamento è servito solo a creare altra carne per il mercato dei mendicanti. In quei mondi le opportunità sono molto poche, è difficilissimo prenderle al volo, il più delle volte sono falsi veli di Maya che si rivelano trappole che ti trascinano, se possibile ancora più a fondo. Il torrente di liquami che scorreva sotto la grande discarica era lo stesso che, più a valle, raccoglieva le ceneri delle pire dei morti. Terminata la storia, le spoglie corruttibili, hanno la stessa valenza della verdura marcia e delle lattine schiacciate. No quelle almeno si possono recuperare.

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Il sardar Ray

giovedì 19 maggio 2016

Ná, Gěi



Oggi prendiamo in esame due verbi molto comuni che viaggiano per così dire in coppia in tutte le lingue e quindi possono essere definiti complementari tra di loro: Prendere e Dare, insomma i classici inglesi To Take e To Give. Come si comporta la lingua cinese rispetto a questi due concetti, dato che proprio l'aspetto concettuale è sempre il punto alla base di questo idioma? La traduzione corrente è  (ná) e  (gěi) dalla quale emerge subito un aspetto comune, la presenza in entrambi i caratteri dell'ideogramma semplice:  (hé), posto sopra nel primo caso e a destra nel secondo, che significa Unità, ma anche unire, corrispondere a. Questo è formato da tre radicali semplici posti l'uno sopra l'altro in sequenza: Uomo, Uno, Bocca, proprio per sottolineare questo senso di unità identificativa e corrispondente. Ora nel primo verbo viene messo sopra al pittogramma di Mano -  (shǒu), mentre nel secondo a destra di quello semplificato di Seta -  (sī). La scelta della posizione è data, credo, solo da ragioni estetiche di scrittura in quanto la costituzione di un carattere elegante che si possa circoscrivere in uno spazio tra il quadrato e il rettangolo di misura sempre uguale, è importante per poter ottenere una calligrafia dalle caratteristiche omogenee e anche con implicazioni artistiche. 

La spiegazione potrebbe essere la seguente. Nel primo verbo se tu prendi in mano qualche cosa, questo diventa parte del tuo essere e insieme a te definisce uno stato, una azione. Se prendi un cibo in mano, insieme assumi il concetto di mangiare, se prendi uno strumento di lavoro, quello di lavorare insomma. Nel secondo caso, posto che la seta veniva identificato come dono prezioso che si dava agli ospiti importanti, si sottolinea il concetto di dare qualche cosa. Insomma dare ha sempre una chiave di offerta consapevole e convinta, proprio nel momento in cui si porge il dono. Un po' contorto, ma abbastanza consequenziale, non vi sembra; in ogni caso, badate bene che questi ragionamenti sono molto utili proprio per ricordare la composizione dei vari caratteri. Una espressione in cui si usa il primo verbo, tanto per fare un esempio, unendolo a Potere politico (costituito dai due segni: Legno, Bastone e Mano) è 拿权 - ná quán, appunto Prendere il potere. Il secondo verbo, che si può anche utilizzare come preposizione A (vedete come in questa lingua conta il concetto insito nel segno senza troppe distinzioni tra sostantivi, verbi, aggettivi o preposizioni, il primo verbo infatti può essere anche usato come preposizione Con, Per mezzo di), Qualche uso curioso tanto per concludere il post: Unito a Bianco abbiamo 白给- bái gěi,  Concedere gratuitamente. 给小费-gěi xiǎo fèi, (lett.) Dare piccola spesa, significa Lasciare la mancia. E per adesso basta così.


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mercoledì 18 maggio 2016

Una notte a Istambul

Istambul - Agosto 1980

Come forse vi ho già accennato sto cercando con una fatica improba ed un lavoro da certosino, di digitalizzare tutto il mio passato di diapositive, per cui per alleviarmi la sofferenza del fatto che per vari motivi, sono bloccato senza potermi muovere e cercare di veder quella enorme parte di mondo che ancora manca al mio appello, vorrei sfruttare di volta in volta qualche immagine che riemerge dalla notte dei tempi, sia per dare un senso all'operazione, che per poter rimanere nell'argomento di questo che dovrebbe continuare ad essere un travel blog. Diversamente mi farei trascinare in argomenti economici politici che comunque non riesco a rendere abbastanza interessanti o convincenti per stimolare le coscienze dei miei lettori. Per questo basterà Facebook. Dunque ecco qua questa immagine un po' oscura, ma come in un film di James Bond di quegli anni ci troviamo in un locale notturno di Istambul, città misteriosa dove arrivava la tappa finale dell'Orient Express, Ci ero arrivato con una 127 vecchia di dieci anni nel 1980, dunque esattamente 36 anni fa, in un agosto torrido. 

Allora l'antica Costantinopoli, divenuta la ricca e sofisticata Bisanzio, centro dei commerci veneziani verso l'Oriente, rasa al suolo dai barbari cristiani crociati e poi risorta con la raffinatezza del Sultano Turcomanno, era ormai una Istambul che Ataturk aveva lanciato verso una strada di laicità occidentale, che appariva come un'onda inarrestabile. La capitale di un paese povero, popolato da grandi lavoratori che emigravano in massa verso il nordeuropa, contribuendo a costruirne la ricchezza e lo sviluppo e contemporaneamente a ricostruire economicamente il proprio paese con le sudate rimesse e per mettere le basi, un giorno, per un ritorno a casa, dove trascorrere una vecchiaia serena. In ogni paese vedevi le costruzioni di case che venivano su un piano alla volta man mano che i soldi arrivavano dai parenti che si spaccavano la schiena in Germania e che proprio in agosto tornavano a casa con vecchie Mercedes scassate a godere di quanto stavano mettendo insieme e a mostrare al paese il loro successo. I locali notturni ad Istambul erano pieni di gente, ballerine e cantanti che proponevano numeri ispirati alla libertà di costumi europea. Come potevi pensare che passati un paio di decenni tutto sarebbe sterzato in una direzione così diversa e contrastante con quella che sembrava una via ormai inarrestabile e segnata. 

Davvero difficile interpretare il futuro e prevederne quantomeno le linee. In tutta la città non vedevi ormai una barbetta salafita o una donna velata se non in qualche angolo più buio dei bazar, quasi figure di un passato che stava per scomparire definitivamente. Il cantante decisamente ammicante e che evidentemente non faceva mistero della sua omosessualità, provocava il pubblico con la satira di un velo che era diventato oggetto di scherno e occasione di spettacolo di comicità. Sui tavoli anguria fresca. Sui bordi delle strade ragazzini che vendevano fichi maturi grossi come un pugno da cui usciva una goccia densa dolce come il miele. Il sole forte illuminava a tal punto l'aria che dovevi tenere gli occhi semichiusi. Seduti ad un bar ci giunse la notizia, attraverso clienti dei tavoli vicini, dell'attentato di Bologna. Tutti erano inorriditi di come potesse accadere una simile barbarie in un paese civile. Ci vuole davvero poco a far trionfare il lato scuro della forza; basta, nei momenti difficili, dare spazio al populismo d'accatto, all'oscurantismo che sempre cova sotto la cenere, mai domo, pronto a rialzare la testa non appena se ne presenta l'occasione, per riportare le lancette dell'orologio indietro di anni, di decenni, di secoli.


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lunedì 16 maggio 2016

Oclocrazia

dal web


Ieri mi hanno raccontato una bellissima barzelletta. Un uomo delle caverne sta scheggiando selci davanti alla sua capanna, seduto su una pelle di tigre dai denti a sciabola, quando il figlio rientra da scuola e mostra una lastrina di pietra con gli occhi bassi. Si tratta della pagella del primo quadrimestre. Il papà butta un'occhiata e poi si dispera: - Ma accidenti, passi il 2 in matematica e il 3 in chimica che sono concetti difficili, ma prendere 3 di preistoria che son quattro cazzate, non si può vedere! - Beh diciamo che anche in storia sarebbe un'offesa, in fondo, a parte nomi e date i fatti storici sono di una ripetitività sconcertante. Ogni piccolo periodo di tempo, quando inevitabilmente e per colpevole triviale connivenza della popolazione tutta che trova comodissimo approfittare delle decisioni sbagliate perché ci guadagna, la sinusoide dell'economia conduce un paese o un gruppo di paesi nella fase di crisi, scoppia l'oclocrazia più indecente che aprirà di norma la strada alla tirannide. La folla bruta gode di correre dietro ai vari Masanielli che la solleticano e la vellicano nei punti più sensibili; li approva, li sostiene e li porta in alto affinché possano compiere la loro opera distruttiva al più presto possibile. E' questo nella natura della specie umana? Probabilmente sì, altrimenti non si potrebbe spiegare razionalmente  come sia possibile che quasi tre votanti italiani su dieci voterebbero per un movimento dai comportamenti talmente indecenti, contradditori e perniciosi che addirittura in ballottaggio vincerebbe contro chiunque, avendo come alleati maggiori proprio altri populisti d'accatto che blandiscono le altre paure residue della massa. 

Alla gente non importa nulla che tutto vada in malora. importa solo il divertimento di vedere cadere le teste, seduti sotto il palco della ghigliottina a fare la maglia, alzando la testa solo quando sentono il colpo della lama che cade. Perché la gente, del potente, invidia solo la possibilità di rubare in quantità maggiore e più liberamente di quanto non possano fare i normali Cittadini nella vita di ogni giorno, costretto dalle regole del vivere civile. Mentre invece questi indegni dalle faccette fintamente pulite che ululano dai palchi brandendo gli scontrini dei caffé non pagati, a parte il fatto non secondario che via via si eliminano tra di loro rapidamente, sono davvero il pericolo maggiore, quello che porta i paesi alla rovina. Il poppppolo non aspetta altro, per potersi crogiolare nel brago e lamentarsi poi ancor di più, fino a quando arriva quello che li zittisce a manganellate sulla zucca vuota. Mi dicono che in Gran Bretagna fior di personaggi, anche istruiti e acculturati economicamente sono fortemente favorevoli alla Brexit e una massa di Tafazzi  ripieni di birra e fish and chips correrà tra poco alle urne battendosi energicamente il manganello sugli zebedei, con il proposito di far dispetto agli altri senza rendersi conto del danno che faranno a se stessi. Da un lato verresti preso dall'onda rabbiosa di vedere la loro reazione del dopo e di come si lamenteranno coi vari ma noi non credevamo, non immaginavamo, sempre che invece non trovino qualche altro capro espiatorio per la loro ignoranza. Purtroppo il danno si ripercuoterà anche sul resto dell'Europa, l'ennesimo cigno nero che permetterà ai nostri Robespierre di dare ulteriore fiato alle trombe, certi che orecchie attente li staranno ad ascoltare.


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