mercoledì 13 maggio 2015

Nagaland: nella terra dei Konyak


Bufali sacrificati a testimonianza della ricchezza di una famiglia Konyak

Mercato di Mon
Davanti a te c'è una vasta distesa di colline che a poco a poco salgono verso l'alto, mentre i boschi che le ricoprono e che avevano preso il posto delle ordinate piantagioni di thé, si infittiscono. La strada, da diritta che era, comincia a diventare tortuosa e stortagnola. Dopo una curva, un gruppo di baracche e una sbarra che impedisce il passaggio. Qualche cartello arrugginito segnala che questo è il confine del Nagaland. Pare una postazione abbandonata nella jungla, un avamposto inglese lasciato alla furia della natura quando ce ne si è dovuti andare. Le uniche insegne nuove, di un rosso smagliante, sono i cartelli della Vodafone. Di qui transita solo qualche camioncino di masserizie varie e di alimentari poveri che va ai mercatini dei paesi che sono lungo la strada. Così, il paio di militari di guardia se ne stanno dentro l'ufficetto cadente con la luce che trapela attraverso le assi sconnesse delle pareti. Bisogna registrarsi e lasciare una copia dei permessi per entrare in questa zona di confine, tribolata dalla povertà e dall'abbandono da parte del governo centrale, a cui probabilmente da un lato fa comodo non investire una rupia in un territorio così periferico e dall'altro forse mostrando un volto punitivo verso le varie pulsioni separatiste che agitano i suoi bellicosi, almeno un tempo, abitanti. Secondo le malelingue invece i pochi soldi che comunque il governo invia quaggiù vengono divorati completamente dalla corruzione locale. Vai a sapere.

Un Konyak
Così la cinquantina di chilometri che dal confine portano a Mon, il capoluogo, necessitano di quasi quattro ore di guida pesante, fatta di sballottamenti continui tra buche colossali e cipria di polvere o schizzi fango a seconda delle stagioni. La strada sale fino ad oltre mille metri e gli strapiombi diventano sempre più scoscesi anche se nascosti dalla vegetazione sempre più fitta e rigogliosa. Anche le capanne sparse nel folto sono poco visibili pur se vicine alla strada. Quando arrivi a Mon, un agglomerato di casupole e baracche sparse su diverse colline adiacenti, con stradine tortuose, ripide discese e risalite altrettanto ardite, è quasi sera. C'è stato solo il tempo per fermarsi ad una sorta di casa museo di legno all'inizio della cittadina, che contiene molti oggetti della cultura konyak, quella prevalente tra queste montagne. I Konyak sono un popolo appartato, che vive a cavallo tra il Nagaland e la vicina Birmania, spostandosi liberamente in questa area senza riconoscere i moderni limiti territoriali. Sono divisi in molte tribù diverse, ognuna delle quali è composta da qualche decina di villaggi vicini, magari proprio a cavallo del confine, un tempo in perenne lotta tra di loro, per continue dispute territoriali o per faide familiari a causa di sgarbi veri o presunti, rapimenti di ragazze e problemi vari che duravano decenni anche quando ormai nessuno ne ricordava l'origine. 

Chiesa battista e luogo dove venivano esposte le teste mozzate 
Erano vere e proprie guerre, piuttosto sanguinose, nelle quali il re mandava le sue truppe a tendere agguati ai villaggi nemici, che si risolvevano ogni volta con qualche morto ed il ritorno al villaggio dei guerrieri festanti che dimostravano il loro valore e coraggio riportando al cospetto della regina, le teste mozzate dei nemici uccisi. Queste venivano poste per i festeggiamenti in una sorta di altare su picche di pietra, davanti al morong, la casa in cui si riunivano i guerrieri ed i prodi tagliatori di teste, erano gratificati dalla regina in persona con un particolare tatuaggio nero sul viso, un segno inequivocabile della forza e dell'esperienza fatta dal guerriero stesso, onore visibile, medaglia al valore ed al contempo monito per i futuri nemici. Tutto questo è durato fino alla fine degli anni sessanta e poco oltre, periodo in cui i missionari battisti sono arrivati in zona, costruendo edifici religiosi e convertendo i guerrieri a più miti consigli. Da allora le guerre e le teste mozzate hanno cominciato a scemare ed oggi sono solo un ricordo per gli anziani che ancora si aggirano con occhio mansueto, ma con i visi che testimoniano di un passato alquanto cruento. La cittadina di qualche migliaio di abitanti ha attirato molta gente dai villaggi della regione e si è trasformata in un agglomerato confuso e lurido le cui scorie, troppo abbondanti, non riescono ad essere assorbite dal potere tampone della foresta, che riesce a stento a mantenersi in equilibrio con la pressione demografica di villaggi di poche case, che svolgono una agricoltura primordiale. 
Il re Wangkao , hang del villaggio Chi , morto nel 2006

Così la sensazione di un sovrabbondare di popolazione che a poco a poco erode un territorio selvatico e fragile, ti assale davanti ai mucchi di immondizie, alle scorie inevitabili di una umanità aliena che avanza pretendendo di imporsi con regole che un mondo antico, abituato a decimare i suoi invasori con la penuria e le malattie, non riesce più ad arginare. Traversi il mercato, ancor più confuso e povero del solito e risali stradine circondati da baracche con banchi e merci misere, percorri i muri sbrecciati e sudici, facendo slalom tra le buche, fino alla sommità di una collina. Qui, circondato da un muro giallo sormontato da filo spinato, c'è la stazione di polizia, in realtà un apparato militare di controllo dell'area. Bisogna andare a registrare la propria presenza per ottenere il permesso di muoversi nella zona, anche se accompagnato obbligatoriamente da una guida konyak. Nahmey, ha poco più di vent'anni e parla un discreto inglese, jeans e maglietta hanno sostituito da tempo il gonnellino tradizionale e gli altri segni di appartenenza alla tribù, è evidente che non gli appartengono più anche se è figlio di un capovillaggio a cui andremo domani. Sembra molto a suo agio, spigliato e ci tiene subito a comunicare la sua email dallo smartphone nuovo. Andiamo con lui nel posto di polizia, che è ormai buio. Appena entrato nel cortile occupato da macchine e altri mezzi militari, cambia subito atteggiamento, diventando, da ridanciano e spigliato, molto serio e d ossequioso, non appena viene a contatto con gli uomini di guardia che lo squadrano dall'alto al basso. 

Gong sacri e oggetti Konyak
Entriamo nell'edificio attraverso un corto corridoio buio e dall'aria di totale abbandono. Muri scrostati che un tempo mostravano traccia di colore, brande abbandonate e sporcizia varia. L'"ufficio" è adiacente ad un locale dove forse vengono interrogati i fermati, con diverse manette e catene da stringere alle caviglie, appese al muro. Da un lato qualche vecchio fucile. L'ambiente non ispira molta tranquillità o simpatia. Ci sediamo su una panca in attesa che si trovi l'ufficiale di guardia. Arriva dopo un po', abbottonandosi alla meglio la giacca della divisa, poi estrae da un cassetto sfondato il classico registro indiano, enorme e spesso, deponendolo sul tavolo. La nostra guida se ne sta in un angolo, facendosi piccolo piccolo; è evidente che in quel posto si sente a disagio. Prende contatto con l'autorità mantenendo un atteggiamento molto deferente. Cominciamo a riempire una pagina con i nostri dati e le nostre intenzioni per il giorno dopo, itinerari, luoghi da visitare. Ad un certo punto va via la corrente. Siamo immersi nel buio tra le imprecazioni del graduato, mentre tutto attorno si sente lo scalpiccio dei sottoposti che cercano di risolvere la situazione. Dopo un po' compare un tizio con una pila. Il librone viene illuminato e con buona pace di tutti, i dati vengono completati, i timbri apposti, i permessi rilasciati. Ci illuminano l'uscita e ce ne andiamo nella notte lasciando il cortile con un certo sollievo. Bisognerà ritornarci comunque quando lasceremo la città. Per fortuna è buio pesto e gli scarafaggi che escono dagli anfratti dei muri non si vedono.  Le zanzare invece si sentono.

Nel villaggio di Chi

SURVIVAL KIT

India del nord est
Nagaland - Piccolo stato del nordest dell'India a sud dell'Assam e confinante con la Birmania a cui è collegato solo da piste sterrate. 16.000 km2 di territorio selvatico e montuoso, ricoperto di foreste con circa 2 milioni di abitanti divisi in centinaia di tribù. Il distretto di Mon è il principale dell'etnia Konyak, quella dei tagliatori di teste, suddivisa in sottogruppi sottoposte all'autorità di re locali (Angh, 7 nel distretto di Mon). I permessi sono attualmente gratuiti, ma dovete prevedere di averne con voi alcune fotocopie da mostrare nelle varie occasioni in cui verranno richiesti e trattenuti come al posto di frontiera. E' necessario registrarsi alla polizia nel luogo dove si dorme entro 24 h dall'arrivo e andare di persona a comunicare il momento in cui si va via. E' obbligatorio l'accompagnamento di una guida konyak per visitare i loro villaggi. Portate necessariamente con voi un pila, perché manca spessissimo la luce. Abbondante Autan tropicale. 

Hotel Elsa cottage - Mon - Probabilmente in città non c'è di meglio. 1700 R. la doppia. Camera spaziosa. Letti con zanzariere molto utili. Considerando il posto, abbastanza pulito. Tuttavia la nostra camera aveva un bagno piuttosto disastrato, senza neppure il lavandino, solo il rubinetto ed un braccetto doccia quasi inutilizzabile, niente acqua calda. Gabinetto alla turca con una quantità di zanzare maestosa e blatte di considerevoli dimensioni. Controllate la camera prima di accettarla, Forse ce ne sono di migliori. Colazione e cena piuttosto buone ed abbondanti, Ottimo il pollo. Personale come sempre molto gentile. La luce manca continuamente, ma vengono fornite candele. Pila indispensabile. No wifi, no frigo e no TV, no AC ma in generale non serve. In sostanza molto basico.


Donna Konyak 
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