lunedì 2 gennaio 2017

Madagascar 11: Gli Zafimaniry


Bastian


Una capanna con palafitta anti topi
Bastian è piuttosto anziano, in particolare per il metro locale, in cui la vita media degli uomini è attorno ai 50 anni, un po' meno per le donne, situazione comune alle nazioni più povere, anche se l'età reale è indefinibile. Sta seduto su un basso sedile in legno scolpito nella parte della capanna riservata al padrone di casa. Anche se è la casa del capo del villaggio, non è molto diversa dalle altre, né più grande, perché l'autorità presso gli Zafimaniry, non dipende dalla ricchezza o dalle disponibilità materiali, ma dal carisma conferito dalla saggezza e dall'esperienza. Parla lentamente ed un po' a fatica nel suo dialetto cantilenante, il ragazzo giovane che mi accompagna traduce in un francese basico, raccontandomi come viene costruita la capanna tradizionale del suo popolo, tutta di legni duri, fatta di incastri e senza chiodi, di come possa essere smontata facilmente se tutto il villaggio decide di spostarsi in un altro luogo, perché il vecchio è stato colpito da qualche calamità naturale o da qualche maledizione. I quattro pilastri principali ai lati sono scolpiti in maniera raffinata coi simboli del sole e della luna ed altri segni geometrici. 

Ragazza di villaggio
Bastian ha occhi spenti, un poco persi nel vuoto, parla a voce bassa e fa anche qualche domanda per sapere da dove vieni, ma capisci subito che è ormai una routine abituale, perseguitato come sarà dalle visite continue di questi stranieri sempre di fretta, inseguiti dal vociare del codazzo dei bambini, che arrivano, buttano un occhio, ansiosi più che altro di fissare dentro un apparecchio fotografico immagini che nessuno guarderà mai, che buttano lì sempre le stesse domande scontate, tanto per fare qualcosa. In fondo meglio dar loro retta, arrivano, non disturbano poi più di tanto e lasciano un po’ di soldini che vengono buoni, comprano un po’ di oggettini di legno, che danno anche loro un po’ di fiato all’economia locale e intanto qualcuno si fa la casa nuova di mattoni, come le altre tribù dell’altopiano. Qui l’agricoltura è faticosa in ogni piccolo pezzettino di terra strappato alla foresta. Bruciando la terra e poi piantando qualche patata dolce o fagioli, piccoli e neri come i loro bambini sparpagliati in mezzo agli arginelli a piedi nudi a giocare nelle rogge fangose. Gli Zafimaniry sono una delle tribù della foresta, i più selvatici ed arretrati tra tutti i malagashy. 

Una capanna
Il loro nome significa “i figli di quelli che desiderano (la libertà della foresta)” ed è la foresta che amano sopra ogni cosa, la amano così tanto da averla ormai quasi completamente distrutta, mangiata nei secoli, devastata attraverso il classico metodo dei primitivi del “taglia e brucia, l’agricoltura primigenia, la più distruttiva in assoluto per l’ambiente, il vero motivo della deforestazione mondiale sostenibile solo con la demografia quasi inesistente del lontano passato. Deboli e abituati a vivere del poco che offre la natura, sono sempre stati oggetto della violenza delle tribù vicine o dei popoli invasori che sono via via penetrati in questo interno segreto del paese e della foresta hanno imparato a fidarsi. E’ lì che si sono sempre rifugiati per sfuggire agli assalti nemici e da lì hanno tratto il legname che è sempre servito a costruire le case e a produrre la carbonella con cui riscaldarsi, cucinare e produrre l’energia minima di cui hanno bisogno. La loro maestria nel riconoscere e nel saper lavorare oltre venti tipi di pregiati legni diversi è riconosciuta addirittura come patrimonio intangibile dell’umanità dall’Unesco, cosa della quale, in pratica neppure si rendono conto, ma questa risorsa di cui sono i massimi conoscitori scompare a poco a poco distrutta proprio da coloro che dovrebbero proteggerla e conservarla. 

La piazza  centrale col totem
Ed alla foresta che nella loro storia li ha protetti e mantenuti, ritornano sempre finché ne rimarrà qualche piccolo tratto, riportandovi i loro morti, avvolti in stracci bianchi, sorta di bozzoli giganti, crisalidi incongrue che vengono lasciate appese agli alberi più alti perché la vita del bosco se li riprenda, un ritorno alla natura obbligato per chi della sua benevolenza sopravvive, senza necessità di scuole o istruzione che non siano quella della vita. Niente tombe sfarzose e di pietra a osannare la potenza del morto, come tra i popoli dell’altopiano, l’uomo è un incidente della natura che al momento opportuno se lo riprende, lo consuma e lo utilizza per farne altro, digerendolo come un gigantesco stomaco vegetale. Qui però, nel loro centro più importante, la civiltà circostante comincia a farsi sentire con le sue sirene e la sua invadenza, ma basta camminare un poco intorno, traversare le prime macchie di verde che si perdono sulle colline e subito arrivi a piccoli villaggi in cui la vita è rimasta quella degli ultimi secoli. 

Un incastro del tetto di una capanna
Per i più lontani occorrono diversi giorni di cammino a piedi, ma è da qui che arrivano, portati a mano, i tronchi di palissandro che, lavorati con cura, serviranno a costruire le case tradizionali, coi pilastri robusti agli angoli, le piccole finestre e le porte arricchite dai disegni geometrici complessi, che verranno modificati nel tempo, quando nascerà un nuovo figlio o qualcun altro avrà raggiunto il tempo della circoncisione che segna l’ingresso nella vita di adulto. Pratica collettiva che si svolge una volta ogni qualche anno proprio in quella piazzetta al culmine, tra le case più belle quasi di fronte alla chiesetta che i missionari hanno eretto per imporre il nuovo credo, accettato e subito sincreticamente assorbito nella tradizione locale. Certo non è più come un tempo quando faceva tutto proprio lui, il capo del paese, nel giorno prescelto dallo stregone che girava di villaggio in villaggio, usando un coltellaccio apposito e per questo molti ragazzi subivano infezioni anche mortali. Adesso viene dalla città un dottore vero, tutto si svolge in maniera pulita e senza conseguenze, ma ancora ogni cosa si svolge lì sotto il piccolo totem di legno con in cime le corna di bufalo, sotto la protezione degli spiriti della foresta. 

Una porta scolpita
Il vecchio Bastian lo sa bene che adesso le cose sono più facili di una volta, di soldi ne girano di più, arrivano anche dal mercato vicino tante cose di cui quando lui era piccolo neppure immaginava l’esistenza, ma forse per convenienza, forse per quella caratteristica di accidia comune ai vecchi di tutto il mondo, rimpiange i bei tempi andati, forse non solo perché poteva camminare velocemente tra gli alberi della foresta a caccia di lemuri o piuttosto perché col passare del tempo sembra che questi ragazzi giovani diano sempre meno retta ai consigli degli anziani e forse il suo potere effettivo cala impercettibilmente di giorno in giorno. Certo l’offerta dovuta dai vasà per la visita e intascata con nonchallance, aiuta a farsi una ragione dei tempi che cambiano, la bocca si piega in un lieve sorriso e la mano stanca si alza comunque in un cenno di saluto mentre usciamo dalla capanna. Molti sono ancora nei campi a lavorare mentre ripercorri la strada sterrata per raggiungere la statale. Fianarantsoa è ancora lontana e la terra diventa sempre più rossa mentre il sole comincia a nascondersi dietro le colline.
 
La strada da Tana a Antoetra

SURVIVAL KIT



Mappa dell'area
L’area popolata dalla tribù degli Zafimaniry (circa 15/20.000), si raggiungere attraverso una strada sterrata di 20 km dalla statale 7. Lungo questa strada, più o meno a metà c'è anche una sistemazione in bungalow spartani, Sous le soleil de Mada. La deviazione è a 42 km a sudest di Ambositra, (300 da Tana) dove molti di loro vengono una volta alla settimana per il mercato. Antoetra è il capoluogo al termine della carrozzabile con un migliaio di abitanti. Di qui ci si può spostare solo a piedi per sentieri lungo le colline per raggiungere i villaggi più vicini come Ifasina, Faliarivo, Fempina, Sakaivo, Tetezandrota e almeno un’altra quindicina (c’è chi dice almeno un centinaio, molti quasi irraggiungibili), verso alcuni dei quali si possono fare interessanti trekking anche di tre o più giorni nei quali si può dormire presso gli abitanti. Ovviamente i più isolati sono i più interessanti e genuini. Per una visita breve ad Antoetra, un paio d’ore accompagnati da una guida locale che vi porterà in giro per il paese, facendovi entrare nelle case (5.000 Ar.). E’ una deviazione che vale assolutamente la pena di fare, anche per uscirne facendosi almeno delle domande. Cosa è meglio per questa gente? Scomparire come identità facendosi assimilare dal mondo circostante o tentare di resistere mantenendola, senza avere la minima conoscenza di come non distruggere questa identità dall’interno. È molto difficile prendere posizione se cercherete di ragionare da tutti i punti di vista. 

Ragazza Zafimaniry


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