giovedì 26 settembre 2013

Giovani e precarietà.

dal web


Dice Lin Yu Tang che l'uomo è l'unico animale che lavora coscientemente, mentre la natura ozia felice. Certo che per un ragazzo che si affaccia oggi nel mondo del lavoro, la cosa non è rosea, a parte il fatto di trovarlo, il lavoro, ma il problema è che ti trattano come se ti facessero un piacere a farti lavorare, quindi non pretendere anche di essere pagato, che volgarità, anzi devi anche dimostrare che la precarietà ti piace, che è una cosa bella e positiva, che andare a casa e lasciare la scrivania è sofferenza, quasi quasi ti fermeresti ancora un poco dopo le 22 per portanti avanti. Naturalmente nessuno ci crede, ma devi far finta di crederci. Certo è una questione di forza contrattuale, oggi c'è tanta offerta e quindi ti tengono per le palle e strizzano. Ti gonfiano ma devi dire che sei molto contento e che è giusto che sia così, aspettando che cambi il vento. Ma una volta com'era? Mia mamma aveva fatto solo la terza elementare e la scelta era solo quella di rimanere nel cascinotto della nonna ad aiutare a mungere l'unica mucca oppure andare a far qualcosa di utile. La mandarono da una sarta che prendeva tutte le ragazzotte che volevano andare a "imparare a cucire". Cominciavano ad imbastire, poi a fare gli orli, passavi orlatrice, poi  cucitrice e solo dopo qualche anno ti lasciavano tagliare la stoffa. 

Ci rimase tre anni dai 15 ai 18. Soldi? No, non era previsto, vero è che a Natale, la Signora dava ad ognuna delle ragazze una grossa monetona da 5 lire, che tutte portavano orgogliose a casa. La pensione e la mutua la dovevano ancora inventare e quando mia mamma si beccò la difterite, che per poco non se la portò all'altro mondo, mio nonno vendette parte del raccolto del campo piccolo di fronte alla casa, per procurarsi una grossa iniezione che arrivava dall'America e la salvò. Poi conobbe mio papà alle Fonti di Valmadonna e io ebbi il guardaroba e i rammendi assicurati a vita. Forse neanche quelli erano bei tempi per chi aveva intenzione di lavorare. Mio papà faceva le scarpe e siccome pare fosse bravo, il padrone lo faceva andare anche la domenica mattina, però qualcosa in più gli dava, se no se lo fregava la concorrenza. E' il potere contrattuale che bisogna avere. Quando è toccato a me, ci cercavano come il pane, noi laureati di allora, però si lavorava il sabato mattina e per il primo anno, che si chiamava borsa di lavoro invece che stage, mi davano un rimborso spese ridicolo. Mah, credo che se i giovani si illudono che qualcuno farà qualche cosa per loro, non hanno ancora capito bene come gira il mondo. Ognuno cercherà di sfruttarli nel maggior modo possibile pur che lo consenta la situazione generale e cercherà di spiegargli che è un bene che sia così. E' un mondo difficile che volete.

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3 commenti:

Ambra ha detto...

Si questa è la realtà, che d'altra parte non è nuova, non nasce ora, come tu hai illustrato. Forse un tempo era peggio. So che è triste, ma oggi i giovani possono almeno scegliere un altro paese se in Italia non c'è posto. Stringere i denti e lavorare come dannati lo hanno fatto anche i nostri emigranti. E' vero, la vita oggi non è facile. Ma non solo per i giovani.

Enrico Bo ha detto...

@Ambra - Infatti, tuttavia io riscontro in generale una lamentosità eccessiva.

Anonimo ha detto...

possibile che nessuno è contento e nessun giovane stia lavorando decentemente? non credo proprio....!

Where I've been - Ancora troppi spazi bianchi!!! Siamo a 114 (a seconda dei calcoli) su 250!