sabato 8 settembre 2012

Recensione: P.S. Buck – La buona terra.


Un classico assoluto questo, che è probabilmente e giustamente il libro più famoso della Buck. Una storia allo stesso tempo topos di tutte le culture, con la figura emblematica del contadino e della sua famiglia che fanno dell’attaccamento alla terra ed del suo possesso l’unica ragione valida della loro esistenza, con l’intelligenza che, pur se priva di cultura, capisce che quel bene è il solo che li possa proteggere, anche quando tutti gli altri valori crollano. Oro e ricchezza te li possono rubare i predoni, cibo e provviste li può portar via la carestia o i vicini malevoli, ma la terra non te la può prendere nessuno. Assieme a questa verità primordiale condita di sacrificio, grettezza e umanità al tempo stesso, ecco che si intreccia il tema fondamentale della Buck, la vita nella Cina rurale dell’inizio del secolo scorso, dove arrivano solo affievoliti e neanche compresi i movimenti epocali che stanno agitando il mondo. Un affresco splendido e gigantesco, con i suoi personaggi chiave, tra cui campeggia l’altro aspetto caro all’autrice, la donna cinese, presa in sposa e tolta dalla schiavitù, con la sua dedizione assoluta al marito in quanto tale e in quanto è stato l’artefice del suo cambio di condizione. 

Una figura davvero emblematica, la povera O Lan, venduta bambina come schiava, richiesta in sposa proprio in quanto brutta, così da non avere grilli per la testa, anche se il contadino ha preteso che almeno non fosse una sfigurata dal vaiolo o col labbro leporino, che riesce a guidare col suo aiuto fondamentale e con l’istinto le scelte della famiglia, anche se ha i piedi troppo grandi, orribili e per nulla sensuali, perché sua madre l’ha venduta troppo piccola per poter cominciare a fasciarglieli. Una donna della Cina rurale, dove è vista solo come una macchina per fare figli e al massimo dare una mano nei campi, beninteso dopo avere assolto tutti i doveri  nella casa, anche se di tanto in tanto il giovane Wang Lang, ha qualche attimo di attenzione, come quando decide di farsi il bagno perché, il giorno delle nozze non vuole che la nuova moglie lo veda sporco, anche se in fondo si era già lavato un paio di mesi prima ed è davvero peccato sprecare tutta quell’acqua così utile per bagnare i campi assetati. Anche se visto con l’occhio occidentale, tante informazioni per cercare di comprendere la cultura  e la mentalità di quel paese lontano. Per chi ancora non l’avesse letto, direi che è un libro da non perdere.


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4 commenti:

chicchina ha detto...

L'ho letto, mi pare mille anni fa...il tempo ha tolto lo smalto ai ricordi del testo.Grazie al tuo post,sono andata a riprenderlo,lo rileggerò alla luce di una mia diversa predisposizione,omaggio degi anni.
Mi era piaciuto anche
"Stirpe di drago".
Grazie Errico per queste belle sollecitazioni.

Blogaventura ha detto...

Una scrittrice fantastica. Nelle antologie della scuola media ho letto (tanti anni fa') diversi suoi brani e questo tuo post è uno stimolo a riscoprire i suoi libri. Un caro saluto, Fabio

acquaviva ha detto...

come potrei non averlo letto e poi riletto?! Grandioso, allora come adesso...

Enrico Bo ha detto...

@a tutti - in effetti la Buck è una scrittrice di razza che vale comunque la pena di leggere, tuttavia per chi come noi ha interesse per l'Oriente , è anche qualche cosa di più, una miniera di informazioni descrittive che aiutano molto a tentare di capire quel mondo. Non sono molti gli occidentali che hanno davvero "capito" la Cina e lei mi sembra senz'altro una di quelli.

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