giovedì 17 settembre 2009

Sogno kazako.


Il Kazakistan è una terra un po' desolata. Quasi tutto deserto e pianure sconfinate. La gente, che probabilmente aveva passato durante il periodo dell'URSS qualcosa di simile a un lungo sonno, sembrava ancora un po' stordita dai cambiamenti provocati dal passaggio alla CSI, di cui però nella vita di tutti i giorni si sentiva poco o nulla. Gente varia anche lì, come in tutti i melting pot, costituita dalle diverse etnie dell'Asia centrale, uzbeki magrolini e barbuti, turkomanni rubizzi, kirghisi più montagnini mescolati alla maggioranza kazaka, formata da personaggi immensi, alti, grossi, dai visi simili a statue orientali. Sembra che ci sia poco da fare in quei posti, invece, il soldo circola bene anche da quelle parti e avevamo clienti anche lì. K. era uno di questi. Se dovevi figurarti le fattezze di Gengis Khan o di Attila questi era perfetto per la parte. Smisurato nell'altezza e nelle dimensioni, dava l'idea di un forza disumana, con mani enormi e dure come tenaglie, ma era la testa quella che più impressionava. Quadrata, completamente piatta davanti, con labbra spesse e gli occhi ridotti a due fessure sottili. Se te lo immaginavi con un elmo a cavallo con una spada in mano, sapevi che non avresti potuto chiedergli mercede. Invece era sorprendentemente gioviale ed allegro, sempre pronto a fare festa e a dare temutissime pacche sulle spalle con le tremende manone, mentre cercavi di schivare i suoi tentativi di baciarti sulla bocca con affetto. Era ricco ovviamente e si voleva sentire munifico come un satrapo orientale, per sentirsi amato dai suoi, come quando regalò mille dollari (cifra esagerata per il posto) al matrimonio di un suo scagnozzo, quando gettava mazzi di banconote ad un gruppo di cavalieri incontrati lungo la strada perche dimostrassero per i suoi ospiti un buskashì, la gara in cui ci si strappa di mano, cavalcando, una carcassa di montone o come quando voleva organizzare un marito appropriato per la nostra Stefania, scelto con cura tra la sua gente migliore. Gli avevamo venduto una linea per produrre ed imbottigliare bibite gasate, ma aveva tanti sogni, tanti progetti. Un sistema di serre per ortaggi, una fabbrica per produrre alimenti per neonati; tutte cose utili al paese e infine la cosa a cui teneva di più un grande albergo moderno come ancora non ce n'erano nella sua città, un po' periferica rispetto alla capitale. Voleva che fosse all'altezza dei migliori del mondo, come quelli che aveva visto durante il suo viaggio in Italia e ci mandammo appositamente un architetto specializzato perchè vestisse da occidente il fabbricato che stava per essere costruito. Fu portato in pompa magna sul luogo dove già sorgeva una fatiscente costruzione a due piani. Qua e là emergevano tratti di calcestruzzo eroso, putrelle corrose dalla ruggine, pietre spezzate sui davanzali di finestre cieche; pareva uno scheletro dopo il bombardamento. Il nostro chiese se quello era l'edificio da abbattere per far posto al nuovo albergo. K. ci rimase male perchè quella era la sua costruzione appena finita, fresca di muratori, che lui considerava un po' il suo capolavoro. Allora non se ne fece niente. Era un candido K., così quando chiedemmo spiegazioni per i trecento euro di extra che ci erano state esposte in fattura, quando lo portammo a pernottare a Venezia una notte sul Canal Grande, ebbe difficoltà a capire un meccanismo estraneo alla sua cultura. Disse che aveva telefonato tutta la notte ad un numero indicato da un canale televisivo e che iniziava con 144, per chiedere che gli mandassero in camera quella gentile odalisca che veniva mostrata nel programma, ma non era riuscito nell'intento ed a tarda notte aveva desistito. Non lo turbammo più con spiegazioni troppo complesse.

2 commenti:

Marco Fulvio Barozzi ha detto...

E' K. quello della foto? E' nella hall del suo albergo? Comunque, senza andare così lontano, il mondo è pieno di gente strana. Quando ero piccolo, l'ortolana che aveva il negozio di fronte a casa nostra andò a Venezia con il marito. Al ritorno, mia madre le chiese se le era piaciuta la città. Risposta serissima (evito la traduzione di proposito): "Mah, bèla l'è bèla, ma l'è piena de foss!".

Unknown ha detto...

Sono d'accordo, il mondo è pieno di gente strana. La mia dottoranda è andata a New York con una parente che vive a Chicago e prima di partire le ha chiesto quanto ci voleva a vedere la città e questa le ha risposto: Non molto, è più o meno come il nostro quartiere di Santa Rita

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