venerdì 28 novembre 2008

Da Mama Otìlia

Tra un po' ci sarà almeno un metro di neve. Fa venir voglia di sole e di gamberi in salsa creola. Di Brasile e di churrasco sulla spiaggia di Ipanema. Certamente l'esperienza della carne brasiliana è indimenticabile, ma in ogni paese ci sono aspetti della cucina che possono stordirci . Fernando, che mi aveva iniziato ai meandri della culinaria paulista, mi aveva parlato con cautela della feijoada, un piatto da iniziati, diceva, per palati particolari. Non mi arrendo facilmente davanti alle più importanti sfide della vita e pertanto dopo alcune insistenze e diversi distinguo si decise per l'avventura. E' un piatto povero, tratto comune a molte culture e ideato dagli schiavi che avevano a disposizione solo fagioli e scarti di maiale. La base è costituita da fagioli neri e uno stufato di orecchie, carne secca, coda, lardo, piedini, cotiche, pancetta ed altre parti meno nobili di cui non voglio sapere nulla di più, che in una giornata intera di cottura a fuoco lentissimo in una grande terrina di argilla si sciolgono quasi completamente fino a formare uno zuppone violaceo-marrone denso e promettente. Qui nascono i primi problemi. Infatti le poche cucine che si cimentano con la preparazione tradizionale, la propongono solo al venerdì in quanto sembra che dopo averne goduto, sia necessario almeno un intero week end di riposo e meditazione. Finalmente individuato il nostro luogo di perdizione, un profumato venerdì sera, Fernando ed io scostammo la tenda colorata che immetteva nella taverna di Mama Otìlia, un piccolo ambiente pieno di sentori e di risate leggere. Su un tavolo di legno scuro coperto di una tovaglia a quadroni, ci aspettava l'aperitivo fumante, il brodo di cottura dei fagioli servito in bicchierini di coccio con rondelle di banane secche. Saporito e intrigante aprì lo stomaco alla successiva delizia. Arrivò infatti una grossa zuppiera di terracotta posta su un fornellino, in cui sobbolliva lenta, la spessa se pur liquida zuppa bruna. La sua superficie veniva gonfiata da un lento fluire di bollosità profonde come in una pozza di fango bollente dei Campi Flegrei. Per arricchire ed addensare meglio l'ambrosia che a grandi cucchiaite ci versavamo delle ciotole di terra, ci fu fornita della farina di manioca e delle patate dolci bollite. Devo dire che raramente un insieme così ricco e completo di sapori e di sensazioni mi colpirono, dal fresco e smaliziato pizzicore del peperoncino, ai forti sentori del suino, al ricco sapore delle parti salate, alla croccantezza della pelle e delle cartilagini, alla consistenza sapida dei fagioli ormai consunti nel sabba orgiastico suino. Mangiavamo lenti ma con costanza, Fernando crollò presto; io invece non riuscivo a staccarmi da quell'ambrosia che continuavo a versarmi di tanto in tanto, rabboccando con un grosso mestolo di legno. Man mano che il tempo passava, sguardi di stupore provenivano non solo più da Fernando ma anche dalla imponente padrona del locale, ma era come una droga; non riuscivo a smettere di inalare aromi e a cessare quella dipendenza. Quando infine crollai, ci trascinammo verso il riposo del giusto con fatica. Fernando temette che non avrei superato la nottata. Fu un duro week end. Adesso, che dopo anni posso dire di avere completato la digestione, mi è rimasta la saudade di quel sapore e del sorriso di Fernando che come tutti i brasiliani parla sottovoce, perchè non si grida se si è sereni.

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